ACONCAGUA 6.970 m – il Tetto delle Americhe.
La cima più alta d'America non presenta grandi difficoltà tecniche di salita ma il vento -zona di bassa latitudine e vicinanza con l'Oceano Pacifico- e spesso le rigide temperature la rendono molto ostica nonostante -in genere- non è presente neve sull'itinerario della via normale; e poi c'è la quota, 6970 m, quasi un "7000".
VAM Valtidone Amici Montagna aveva tentato nel gennaio 2014 l'Aconcagua, quando era stata invitata dal Cai d'Acqui Terme per documentare, con film, la spedizione, purtroppo fallita a causa del cattivo tempo in particolare per colpa del micidiale "Viento Blanco" il quale, soffiando costantemente provoca temperature freddissime -fino a meno 30- e rischio elevato di congelamenti e di distruzione delle tende.
Il film creato da quell’esperienza del 2014 ha dato titolo alla conferenza "HA VINTO IL VIENTO BLANCO".
Nel gennaio 2015 il presidente Vam Davide Chiesa di Castelsangiovanni ci ha riprovato con altri due soci VAM di Milano: Niccolo' Aiazzi di 32 anni, fotografo freelance, la cui famiglia tiene casa anche a Nibbiano Valtidone; e Federica Ghizzoni di 45 anni, anch'ella di Milano. Inizialmente doveva fare parte della partita anche Marco Salvatore, che con Chiesa era stato al Manaslu (l'8000 salito nel 2011) e sempre con VAM avevano fallito l'Aconcagua nel 2014 a soli 300 metri dalla vetta per colpa del "Viento Blanco", gli unici due -del gruppo di Acqui Terme- rimasti a salire quel giorno del gennaio 2014, ma ricacciati giù dalla furia della montagna e dall'elevato rischio di congelamenti che la prosecuzione avrebbe portato.
Nel 2015 le buone condizioni meteo hanno permesso varie "finestre" di bel tempo, cioè con poco vento e temperature accettabili; a seconda dei giorni però. Con un pizzico di fortuna questa volta è andata bene anche per noi, ma non priva di elementi che mettevano a rischio la buona riuscita del progetto VAM "Aconcagua 2015". Dopo il lunghissimo viaggio per raggiungere l’Argentina, l’ascensione all’Aconcagua è scandita dalle lunghe e pazienti –nonché faticose- tappe di acclimatazione. E’ per questo motivo che generalmente occorrono fino a 18-20 giorni di spedizione.
Nel nostro caso invece l'acclimatamento è stato decisamente molto stringato per alpinisti non professionisti e provenienti dalla pianura: solo 10 giorni circa, dalla partenza dalla città di Mendoza il 20 gennaio, all'arrivo in vetta il 31 di gennaio. Ci siamo aggregati ad un gruppo misto "aperto" composto da altri alpinisti: tre cileni e tre argentini, con tre guide argentine della locale agenzia che ha organizzato la spedizione fino al campo base di Plaza Mulas, a 4300 metri di quota. L'acclimatamento così rapido è stato reso necessario, oltre dal programma già breve previsto dalla agenzia, anche dal fatto che era opportuno approfittare il prima possibile del meteo favorevole, a parte alcuni momenti in cui comunque soffiava forte vento sulla montagna, prima che arrivasse l'atteso ciclo di mal tempo che era assente da tempo sull'Aconcagua.
Un aspetto difficile con il quale non ci siamo confrontati nel 2014 –quando c'era più neve a causa del cattivo tempo- è stata la carenza d'acqua causa la siccità, e di conseguenza anche lottare continuamente con la polvere. Tenuto conto che a quelle quote occorre bere dai 4 e fino ai 6 litri al giorno per acclimatarsi (e noi avevamo anche pochi giorni disponibili per acclimatarci quindi dovevamo bere molto di più) questo è diventato un problema, più che altro perchè le acque reperite nelle poche sorgenti -anche ai campi alti- sono ricche di minerali tra cui il magnesio in gran quantità presente in quella zona e quindi in tanti hanno avuto problemi di dissenteria la quale ovviamente non si "sposa" con una buona idratazione.
L'altro aspetto riguarda il giorno di vetta, il giorno più importante di ogni spedizione e sicuramente il giorno più decisivo, più duro, più selettivo. Dai 6000 in sù è veramente dura: il freddo, l'insonnia, il poco nutrimento a causa della quota e della nausea, disagi vari, la lentezza dei movimenti e poi anche perchè no... un poco di paura. Guai non ci fosse la paura, avere paura significa avere sempre un margine di sicurezza. Nel mio caso specifico poi anche la paura di fallire una seconda volta all'Aconcagua nell'arco di un anno!
Campo base di Plaza Mulas a 4300 metri raggiunto il 23 gennaio, poi il 28 gennaio al campo 1 "Canada" a 4900 metri, poi il 29 gennaio al campo 2 "Nido de Condores" a 5400 metri, poi il 30 gennaio al campo 3 "Colera" a 6000 metri : 3 campi intermedi dopo il campo base. Il 31 gennaio la "cumbre" a sfiorare i 7000!
Partiamo alle ore 5 del 31 gennaio ancora con il buio dal campo 3, più saliamo e più aumenta il vento ed il freddo. Arriva l'alba: è il momento più freddo -statisticamente- di tutta la giornata. Successivamente sul "Gran Traverso" il vento è veramente forte, sento i compagni e le guide che si urlano in lingua spagnola di coprire assolutamente il naso, l'unica parte scoperta del corpo: io ci avevo già pensato vista l'esperienza dello scorso anno in cui mi congelai superficialmente la punta del naso. La temperatura era di meno 15 gradi, con vento. Ero tranquillo perchè non erano le temperature estreme dello scorso anno, e le previsioni dicevano che sarebbe calato il vento in mattinata, ma in quel momento erano circa solo le 9 del mattino ed eravamo ancora all'ombra. Nessuna operazione era possibile tranne che camminare per scaldarsi. Nemmeno estrarre il thermos dallo zaino e bere: troppo vento. Infatti ben 6 di noi, su un gruppo di 9, hanno deciso di scendere. Federica, Carlos (un argentino), io e due guide dell'agenzia -Oscar e Wenny- abbiamo tenuto duro e siamo saliti in vetta. Gli ultimi passaggi nel ripido canalone detritico denominato "Canaleta" sono stati molto duri -almeno per me- e gli ultimi metri mi sono trascinato ma alle 13,30 eravamo in vetta, un buon orario!
In vetta, ristabilita la coscienza ed il torpore (a volte nelle soste perdevo equilibrio e mi veniva sonno, classici sintomi di non perfetto acclimatamento) abbiamo goduto di un cielo splendido, infinito: il tetto delle Americhe! Sapevo dentro di me che la scarica di adrenalina della vetta avrebbe sistemato tutto, come sempre.
Foto e video di rito, alcuni tirano fuori dalle tasche foto di familiari, striscioni, mascotte dei figli: insomma si cerca di rendere partecipi anche chi non c'è di una grande emozione e risultato finalmente ottenuto! Con trepidazione porto in cima il logo VAM della nostra amata VALTIDONE, arrivato già su alcune delle vette più alte della Terra, ed anche -con orgoglio- la BANDIERA ITALIANA accanto alla Croce di vetta, con i loghi delle aziende piacentine e sostenitori che hanno sostenuto e creduto in questo progetto, senza i quali questa avventura VAM non sarebbe stata possibile e non si sarebbe nemmeno potuta raccontare.
E’ ora di scendere. I miei scarponi da 8000, molto grossi e pesanti per un terreno di sassi e sabbia, e continui giramenti di testa, mi facevano perdere equilibrio: l’aiuto con la corda da parte di Oscar è stato ben accetto, era necessario scendere di quota senza ritardare ulteriormente. Quanto mi è mancata la fedele e stabile neve in quell’occasione, che in discesa in genere accompagna la camminata!
Ma non è finita qui: un ultimo colpo di scena ci ha fatto capire di quanto, quassù, siamo aleatori e solo di passaggio, a volte scomodi. E che non bisogna mai abbassare la guardia. Quando noi stavamo salendo non potevamo sapere ciò che stava succedendo all'ultimo campo, il campo 3, dove avevamo lasciato le nostre tende e dove avremmo passato la notte del 31 al rientro dalla vetta. In sostanza una bufera di vento fortissimo ha letteralmente spazzato e devastato il campo. Su 8 tende delle nostre ben 4 sono state distrutte, ma il contenuto (sacchi a pelo, materiale da cucina e altro) è stato salvato grazie all'intervento di un addetto della nostra agenzia, fatto venire appositamente al campo 3 il giorno precedente quello di vetta appunto per vigilare sulle tende, di estrema importanza nel giorno dedicato al balzo finale. Grandi e pesanti sassi sopra alle tende che avevano la paleria di sostegno comunque distrutta hanno impedito che il vento portasse via tutto. Cosa invece capitata purtroppo alle altre tende di altri gruppi che quel giorno attaccavano la vetta: avvisati per radio hanno dovuto abbandonare l'ascensione -e quindi niente vetta per loro- e rientrare al più presto per poter scendere al campo base in quanto avevano perduto irrimedibilmente tutto il materiale portato dal vento chissà dove.
Al nostro rientro al campo 3 alle ore 17, abbastanza stanchi dopo la vetta, pensando che finalmente potevamo bere un thè caldo e riposarci, abbiamo invece avuto l'amara sorpresa, con ancora il vento che soffiava seppur di minore intensità. Alcuni di noi, me compreso, quella notte l'abbiamo passata in tende di altri e nel piccolo ricovero di emergenza del campo 3 -la capanna Elena- ammassati gli uni agli altri -eravamo in 12 nel piccolo spazio- bivaccando senza quasi nè bere nè mangiare, però cercando di sdrammatizzare e scherzando in lingua italiana inglese e spagnolo in quanto alcuni alpinisti di altri gruppi non sapevano dove andare essendo rimasti, loro stessi, senza tenda.
Il giorno dopo eravamo al campo base dove il nostro cuoco ci ha fatto trovare una tavola imbandita di frutta e come regalo straordinario una bella lattina di Coca Cola!
Quante volte nei momenti di disagio, di pazienza e di sofferenza dicevo tra me e me "basta questa è l’ultima volta che parto per una vetta così alta"… Invece poi, quando si torna a casa, il desiderio ritorna, la voglia di ripartire, a volte una necessità. E solo quando l’idea inizia a concretizzarsi ritorna l’entusiasmo e la voglia di rimettersi in gioco.
Arrivederci quindi alla prossima avventura!
E un grazie da VAM a tutti i sostenitori!
Davide Chiesa